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Come sfruttare il Coronavirus a fini commerciali, parte 1: Alcuni concetti di base

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[NdR: riceviamo e pubblichiamo, con perverso compiacimento] Buongiorno, cari bloggers.  Oggi inauguriamo una nuova serie di post, intitolata Come sfruttare il Coronavirus a fini commerciali . Si tratterà in sostanza di tutorials utili a trasformare la vostra azienda dal livello "vendita di stecche di sigarette di contrabbando all'angolo della strada" al livello "potente holding criptofinanziaria" in pochi passi, sfruttando le opportunità commerciali uniche offerte dal contesto micro e macroeconomico attuale. In questo primo incontro vorrei parlarvi di marketing e pubblicità.  Se vi è capitato di vedere la TV durante i primi giorni dopo il cosiddetto "lockdown" (un tag geniale per un evento mediatico davvero eclatante), avrete notato lo scollamento prodotto tra le immagini delle pubblicità e il contesto in cui si stava vivendo. Macchine che corrono su strade in luoghi incontaminati, gente felice che si incontra nelle piazze, bambini

Distanze di mantenimento

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Onde evitare qualunque fraintendimento e successiva spiacevole discussione fra i due, questo post è stato strettamente concordato fra Zia G. e Luigi Marinelli.  La Redazione di “Salva con nome”, lieta di questo rinnovato affiatamento intellettuale fra un Autore e un Autrice di grande spicco del Blog, accoglie eccezionalmente questa anomalia e, non potendosi attribuire lo scritto né all’uno né all’altra dei gentili Estensori, ma ad entrambi, ne ribadisce la responsabilità per ciascuno di essi al 50%. N.B. Solo ai fini concorsuali, tuttavia, e relativamente ai parametri bibliometrici dettati da ANVUR e da altre agenzie internazionali di valutazione della ricerca, le frasi di questa monografia vanno considerate in ordine alternato: la prima di Zia G., la seconda di L.M. e così via. Distanze di mantenimento Al supermercato: « Signori, non dimentichiamo le distanze di mantenimento, grazie! ». Ma mantenimento di che? Ho sempre cercato di mantenere distanza, quando ho p

Scendere alla fermata. Per una Repubblica fondata sul modico lavoro

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Quando fai questo mestiere e non sei un fesso completo, una cosa almeno da subito la impari: che nessuna idea è definitiva e menchemmai perfetta, perché tutte stanno sempre in coda alla realtà e al buon senso. È l’hegeliana nottola di Minerva, ma porta occhiali spessi come cocci e non vede oltre la punta del suo becco: questa la scienza esatta e questi gli studi umanistici, confusi e inadeguati senza apprezzabili distinzioni. Così, col mio “6 politico” in risposta alla demenza protocollare degli esamifici, mi illudevo di tenere in tasca l’ovetto di Colombo, la panacea a ogni male, un’idea formidabile. Poi ti incontro una collega al prato che mi ascolta pazientemente, annuisce per educazione, ma sentenzia: “Io invece avrei fatto saltare l’intero anno scolastico. Previo rimborso della retta, li avremmo intrattenuti in qualche modo e – a Dio piacendo – se ne sarebbe riparlato a settembre. Tanto che fretta c’era?...” Bum! Non all’istante, ma a scoppio ritardato e dopo opp

Cosa portare fuori (2)

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In questa normalità inusuale rispetto le distanze. Mi muovo con cautela fra dentro e fuori, e torno sugli stessi interrogativi. Mi domando cosa portare fuori, dopo. E mi domando, adesso, se siano descrivibili le differenze nel sentire la soglia fra dentro e fuori. Nel pensare cosa portare fuori e cosa far rientrare. Di certo è concreta e visibile la differenza di condizioni sociali, personali. Il dentro può essere intollerabile se non so come mantenere me e i miei cari. Può essere intollerabile se è angusto lo spazio fisico o mentale. Se dalla finestra vedo degrado, sia dentro che fuori. Diventa necessario pensare (e cercare, o forse immaginare) un fuori molto fuori. Un altro dentro. Vorrei portare fuori il desiderio di guardare e vedere. Vorrei portare fuori e conservare dentro la mimica dei volti. Vorrei proteggere le emozioni per poterle portare fuori (appena possibile) e conservarle dentro. Per riconoscere le emozioni (e per esprimerle) abbiamo bisogno che esse attraversino il

Cosa portare fuori (1)

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L’euforia di potersi precipitare fuori non mi appartiene. Non mi è appartenuta parimenti l’urgenza di organizzare le giornate in modo cronometrico. Non solo perché il tempo è prematuro e il fuori non potrà essere il fuori di prima. Non solo perché nemmeno il dentro sarà, una volta fuori, lo stesso dentro. Il segno di un altro dentro e di un altro fuori è inciso nell’attesa, nella sospensione del tempo. È scritto negli sguardi, nel panorama oltre la finestra. Allora vorrei pensare a cosa portare fuori. Perché il dentro di oggi e il fuori di domani siano sì diversi dal dentro e dal fuori di ieri, ma entrambi riconoscibili. Dotati di senso. Dotati di senso per me. Dotati di senso per noi. E il senso è dato da ciò che riusciremo a portare fuori, con noi. Vorrei portare fuori la necessità di perdere tempo. Di perdersi nel tempo. Vorrei portare fuori una condanna meno aspra della macchina asciugatrice, di tipo statunitense, che sgombra la casa, soprattutto nella stagione intermedia, senz

Riflessioni (e confessioni) di un tecnico help desk

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di Riccardo Capoferro Il momento in cui è stato decretato il lockdown ha segnato per alcuni l’inizio di una vacanza, per altri l’inizio di una stagione di difficoltà, ansia e forse indigenza, per altri, gli insegnanti, l’inizio di una mobilitazione (sedentaria) di massa, convulsa, scalcinata e post-apocalittica. Io ero tra questi, nella duplice veste di professore e di coordinatore – nella sostanza factotum – di corso di laurea, quindi responsabile insieme ai miei colleghi della transizione alla didattica on line. Ho cominciato a prendere confidenza con google meet e google classroom, a preparare powerpoint corredati di file audio (con slide via via più barocche, poi sostituite dalle lezioni in streaming) e a chiedermi con un manipolo di colleghi – una specie di unità di crisi – come organizzare le sedute di laurea on line e gli esami. Non molto tempo dopo, data l’eccezionalità della situazione, mi sono trovato per la prima volta a presiedere una seduta di laurea: un misto tra un

La diplomazia delle mascherine

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No, che non penso alle grandi questioni di politica internazionale. Cina, USA, Russia, UE: ognuno tifa la squadra del cuore – oppure nessuna – e le superpotenze decideranno per noi, povera piccola Italia sotto custodia dai tempi lontani dell’AMGOT. Bado invece alle faccende di casa nostra e alla levata di scudi in risposta al calmiere delle mascherine e alla reprimenda del commissario Arcuri contro gli speculatori. Calmiere, o maximum, ha sinistra memoria, per notabili e benpensanti, rievocando l’economia di guerra, la "Patrie en danger" e i fantasmi giacobini del Comitato di Salute Pubblica. E poi c’è il libero mercato: il diritto sacrosanto di non vendere a 50 centesimi quanto si è pagato 0,55 o 0,60; il diritto imprescrittibile di venderlo a 3 o 4 euro, anche in tempi di emergenza sanitaria e pur trattandosi di bene di primissima necessità. Così tuonano i padroni delle ferriere, Federfarma che si immagina in trincea, aedi e coriste della loro carta straccia. Lo