Cosa portare fuori (1)


L’euforia di potersi precipitare fuori non mi appartiene. Non mi è appartenuta parimenti l’urgenza di organizzare le giornate in modo cronometrico. Non solo perché il tempo è prematuro e il fuori non potrà essere il fuori di prima. Non solo perché nemmeno il dentro sarà, una volta fuori, lo stesso dentro. Il segno di un altro dentro e di un altro fuori è inciso nell’attesa, nella sospensione del tempo. È scritto negli sguardi, nel panorama oltre la finestra. Allora vorrei pensare a cosa portare fuori. Perché il dentro di oggi e il fuori di domani siano sì diversi dal dentro e dal fuori di ieri, ma entrambi riconoscibili. Dotati di senso. Dotati di senso per me. Dotati di senso per noi. E il senso è dato da ciò che riusciremo a portare fuori, con noi. Vorrei portare fuori la necessità di perdere tempo. Di perdersi nel tempo. Vorrei portare fuori una condanna meno aspra della macchina asciugatrice, di tipo statunitense, che sgombra la casa, soprattutto nella stagione intermedia, senza termosifoni, da cumuli di panni umidicci che non si asciugano mai. Vorrei portare fuori la certezza che ridere è difficile. Vorrei portare fuori la certezza che ridere è indispensabile. Molte cose dovrebbero restare diverse, anche ‘dopo’. Molte cose erano già diverse, ma la rincorsa delle ore non me lo mostrava. Vorrei ritrovare il tempo. Vorrei ritrovare la memoria. In questa sospensione è raggelata. Ha paura di venirti incontro troppo rumorosamente. Se l’idea del passato si mescola con un presente vuoto e ingombrante. Vorrei portare fuori la galleria dei volti che ho pensato. Ritratti e memorie. Eternità di innumerevoli istanti. La loro somma non è aritmetica, non so calcolarla. Non voglio trovare un totale. Vorrei portare fuori frammenti e bagliori, non unità di conto. Vorrei saper conservare la parte, che non vale il tutto. Ma vale molto. Ogni singola parte. Del corpo, del ricordo, delle voci. Vorrei portare fuori la differenza tra silenzio e vuoto. Tra rumore e parola. Ho paura di portare fuori la distanza. Dividere e condividere. Azioni importanti. Dividere ciò che abbiamo. Fare più parti di un tutto e dividere con. Condividere. Non solo sui social. Modificare il ritmo respiratorio, variare la mimica facciale, e portare fuori le diversità che riconosciamo. Forse anche quelle che non sappiamo riconoscere. La soglia fra dentro e fuori è nello stomaco. Per questo ho fame. La mascherina è un’estensione della soglia. Per questo non riesco a respirare. Vorrei lasciare fuori le ‘soglie’. Vorrei riportare dentro i passaggi. Mentali, del corpo, dell’anima. Gli amici che passano a trovarti. La forza di ridere. La leggerezza di ridere. E piangere. Più facile. Soprattutto di commozione, o di gioia. Persino troppo facile. A tratti ridicolo. Il bello del ridicolo. Vorrei portare fuori quella canzone. Vorrei far rientrare la fatica fisica. Mi accorgo che fra dentro e fuori c’è un continuo transito di pezzi. Che entrano ed escono, si scambiano, si fermano. Si mescolano. Mi domando cosa portare fuori. Mi domando cosa far rientrare. Continuo transito di sentimenti.



Barbara Ronchetti

2 maggio 2020








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