Riflessioni sul grigio: tenebre albe e passaggi. Con Paul Celan (Quasi un kaddish: 20 aprile 1970- 20 aprile 2020)



Riflessioni sul grigio: tenebre albe e passaggi. Con Paul Celan
(Quasi un kaddish: 20 aprile 1970- 20 aprile 2020)



fonte dell'immagine https://pierrejoris.com/blog/paul-celan-fifty-years-later-tenebrae-5-more/

    Paul Celan, poeta di lingua tedesca nato Antschel nel 1920, in Romania, nella città di Cernăuți, già Czernowitz austroungarica, oggi Ucraina col nome di Černivci, scampato allo sterminio nazista cui non sfuggirono invece i due genitori, un anno a Bucarest tra 45 e 46, poi a Vienna che ancora pullulava di nazisti, esule a Parigi dal 1948, e ancora - naturalizzato cittadino francese, traduttore di grandissimi poeti europei e americani, lettore di tedesco all’École normale supérieure, uno dei grandi poeti del ‘secolo-lupo’ Novecento: tra il 19 e il 20 aprile del 1970, esattamente 50 anni fa, pone fine alla sua vita buttandosi nella Senna. Una sua poesia parla di un salto dai conci del Pont Mirabeau, di un uomo alato di parole e ferite (E come il libro di Tarussa, pubblicata in La rosa di nessuno, 1964).
Era il 10 aprile 2020, venerdì santo, quando ho rimesso mano a una sua poesia dedicata a Francesco D’Assisi, che il mio amico artista Giuseppe Caccavale mi aveva già chiesto di ritradurre per una sua opera di in-scrizione visuale. Celan ha ben a mente il valore del venerdì santo, e non solo per i cristiani.
    Nel suo diario (quaderno VII, 1961-62), ancora inedito, Celan annota una coincidenza tra la data di inizio della sua poesia e la data d’inizio della Divina Commedia:
"Après avoir écrit, le 19 décembre, la partie finale de la ‘Valiser [sic] Elegie’, avec, pour la terminer, ce vers du Purgatoire: sovenha vos a temps de ma dolor (qui doit clore tout le recueil), je m’aperçois, aujourd’hui, que la ‘Divine Comédie’ a eté commencée un vendredi saint. C’est le vendredi saint 1961 que j’ai commencé, a Montana, la ‘Valiser [sic] Elegie’. […] tout revient, secrètement, tout se retrouve, ‘Come... le stelle’ – ‘Wer nicht sucht, wird gefunden’.[1]
    Ho ripreso in mano Assisi pensando a un'altra poesia di Celan, Tenebrae (pubblicata nel 1959 in Sprachgitter, Griglia di parole). Il titolo originario, che si trova annotato in un taccuino inedito, è Leçons de Ténèbres, e rimanda alle Leçons de Ténèbres di Couperin, laudi del mattino, anzi del passaggio dalla notte al mattino del venerdì santo, che mettono in musica le lamentazioni di Geremia. Nella liturgia cristiana si accende e poi si spegne un candelabro delle tenebrae. È forse il momento più vicino alla liturgia e alla parola ebraica.
In Tenebrae di Celan, Cristo viene assediato dalle voci minacciose degli umani, ed è lui a dover pregare: “Vicini siamo, Signore / vicini e afferrabili. // Afferrati già, Signore, // avvinghiati già, come fosse / il corpo di ognuno // il tuo corpo, Signore. // Prega, Signore, / pregaci / siamo vicini”.
In Assisi, che è la poesia che vorrei proporre qui in traduzione - a pregare, a mendicare sono i morti, e con e per loro, Francesco. Tutti i seppelliti senza benedizione o preghiera, i morti da soli.
Si invoca un “Glanz”, uno splendore umile e grigio, che fa rima con “Franz”, rima impossibile in italiano. Ho provato a compensare con la rima impura tra “splendore e mendicare”. E non c'è consolazione né espiazione.
    Assisi, 20 Novembre 1953[2]. Tre giorni prima del suo trentatreesimo compleanno, Paul Celan visita insieme alla moglie Gisèle la città di Francesco. Acquista i Fioretti (il volume presente nella sua biblioteca privata, custodita nell'archivio di Marbach, riporta la data autografa di acquisto sul frontespizio: “20. XI. 1953”). Celan acquista anche la biografia St Francis of Assisi di G. K. Chesterton: vi si narra di come Francesco andasse mendicando per riedificare le chiese in rovina. Non denari né pane, ma pietre. La pietra, nella tradizione ebraica, è l’oggetto posto sulle tombe in ricordo per defunto. La pietra della terra umbra è presente in quasi tutti gli affreschi di Giotto. Pittura su mura, fatte di fango e pietra. Sulla pietra dormiva Francesco alla Porziuncola. Questa pietra-Assisi, raccolta in Italia e re-inscritta in Francia[3], nella distanza del ricordo e del cordoglio, verrà posta proprio al centro della raccolta Di soglia in soglia, pubblicata nel 1955, due anni dopo l’esperienza di Assisi. È quasi un nuovo inizio per Celan. La materialità geologica, minerale, di pietra e fango, diventa chiave di volta della poetica sviluppata negli anni a venire.
    La poesia di Celan è costruita su parole e idee recuperate dal libro di Chesterton: l’Umbria come nuovo sepolcro di Cristo (anche della pietra che lo serrava, aggiungo io), re-inscritto nella pietra umbra attraversata da Francesco. Il Francesco che chiamava il suo corpo ‘fratello asinello’. Il grigio asino. Grigio è per Celan l’unico colore possibile il colore della poesia dopo le catastrofi di cui era stato testimone (la morte nei campi, la morte atomica - da Celan ripensate insieme, pochi anni anni dopo, nella poesia Engführung (Stretta o Stretto in senso musicale), pubblicata nel 1959.
    La reinscrizione di Celan comprende anche la memoria del linguaggio della Bibbia di Lutero e delle immagini giottesche delle Storie di San Francesco. La parola del Vangelo, la stessa voce di Francesco, mediata attraverso i culti, non consola, non riesce a rispondere alla morte e ai morti. Forse le immagini, i colori -
Una risposta resta, quasi eco, nella rima: Franz-Glanz.
Un grigio splendore. Leggiamo nel Cantico delle creature di Francesco d’Assisi: “Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,de te, Altissimo, porta significatione”. Il cantico, scritto in umbro, parla alla Terra e al cosmo, uomini, piante, animali, pietre e stelle.
    Celan riprende la struttura ripetitiva, che è propria di questa laude, come già dei Salmi biblici, e del Responsorium, in cui la singola voce del salmista si alterna a quella della comunità. Anche nella disposizione grafica vediamo due voci, come in antifona. Una voce, quella ripetitiva, Invoca la notte, notte umbra, che prelude a un’alba di luce che non arriva se non nel grigio dell’asino; e nelle successive invocazioni, dopo la notte d’Umbria, notte d’ombra. Invoca il vaso, urna e custodia. E infine la bestia al trotto. L’altra voce risponde, di volta in volta: silenzio intorno al vaso di terra, che impasta anche la mano dell’uomo che la lavora; pietra e colore grigio; splendore nel mendicar pietre, del mendicante di pietra.
    Di notte lo splendore è nell'asino grigio, nel corpo di fango, di pietra, di Francesco. I morti cantano e non trovano risposta, per Celan anche il primo figlio, François, morto in fasce, nel 1953, pochi mesi prima del viaggio in Italia. Il Dies Irae della messa funebre cattolica è opera del primo biografo di Francesco, Tommaso da Celano. Celano: Ancora un cerchio tra nomi, fango, urne, pietre e destini. E riti e tradizioni che così come arrivano nella storia e nella memoria non hanno risposte. Ma si può ricominciare con i nomi, le pietre, e i grigi.
    Il cerchio arriva a includere, forse, la deserta Piazza San Pietro del Venerdì Santo 2020, con un altro Francesco dalla voce flebile, grigia ma forte come pietra (di scarto).

Paul Celan, Assisi, scritto nel 1954 e pubblicato nel 1955[4]

Umbrische Nacht.
Umbrische Nacht mit dem Silber von Glocke und Ölblatt.
Umbrische Nacht mit dem Stein, den du hertrugst.
Umbrische Nacht mit dem Stein.

    Stumm was ins Leben stieg, stumm,
    Füll die Krüge um.

Iredener Krug.
Irdener Krug, dran die Töpferhand festwuchs.
Irdener Krug, den die Hand eines Schattens für immer verschloß.
Irdener Krug mit dem Siegel des Schattens.

    Stein, wo du hinsiehst, Stein.
    Laß das Grautier ein.

Trottendes Tier.
Trottendes Tier im Schnee, den die nackteste Hand streut.
Trottendes Tier vor dem Wort, das ins Schloß fiel.
Trottendes Tier, das den Schlaf aus der Hand frißt.

    Glanz, der nicht trösten will, Glanz.
    Die Toten – sie betteln, noch, Franz.

*

Notte d’Umbria.
Notte d’Umbria con l’argento di campana e d’ulivo la foglia.
Notte d’Umbria con la pietra che portavi con te.
Notte d’Umbria con la pietra.

    Muto ciò che entrava nella vita, muto.
    Travasa i vasi.

Vaso di terra.
Vaso di terra, là concresceva la mano del vasaio.
Vaso di terra, che la mano di un’ombra serrava per sempre.
Vaso di terra col sigillo dell’ombra.

   Pietra, dove guardi, pietra.
   Fa’ che il grigio asinello entri.

Bestia al trotto.
Bestia al trotto nella neve, che la mano sparge più nuda.
Bestia al trotto davanti alla parola, che si serrò di colpo.
Bestia al trotto, che mangia dalla mano del sonno.

    Splendore, che non vuol consolare, splendore.
    I morti – ancora, Francesco, a mendicare.


Traduzione di C.M., venerdì santo 2020, commento ripreso il 20 aprile 2020, nel giorno della morte di Paul Celan.



[1] La traduzione dell’ultima riga in Tedesco è: “chi non cerca viene trovato”.
DLA Marbach, Nachlass Paul Celan, Signatur D. 90.1.3294, citato in Axel Gellhaus, ‘Wortlandschaften. Konzeption und Textprozesse’, in ‘Qualitativer Wechsel’: Textgenese bei Paul Celan, a cura di Axel Gellhaus e Karin Herrmann (Würzburg: Königshausen & Neumann 2010), p. 40. L’elegia Vallese è una lunga poesia di rammemorazione e ritorno, ricomposizione di luoghi e tempi, destinata a far parte della grande opera opera polifonica che è la raccolta  Die Niemandsrose (“La rosa di nessuno”), ma lasciata inedita.
[2] Le notizie su biografia e composizione della poesia sono tratte dall’ottimo e ricchissimo commento di Barbara Wiedemann alla nuova edizione delle poesie: Paul Celan, Die Gedichte, a cura di Barbara Wiedemann, Suhrkamp, Berlino 2018, p. 715-717).
[3] Vedi Alfred Kelletat, Celans Assisi, in “Studi Urbinati”, XLV, NSB 1971, fascicolo 1-2, tomo 2, pp. 686-710. Si rimanda alla lettura di Peter Gossens, in Id., Paul Celans Ungaretti-Übersetzung, Winter, Edition und Kommentar, Heidelberg 2000, pp. 62-70, per gli aspetti che riguardano la funzione e l’uso dissonante delle forme di invocazione religiosa cristiana. Anche le forme della lode e del responsorio non approdano a una visione di liberazione, ma lasciano aperta la contraddizione.
[4] In Paul Celan, Von Schwelle zu Schwelle, 1955 (ora in Paul Celan, Die Gedichte, cit., p. 76). Il volume è pubblicato in traduzione italiana sotto il titolo Di Soglia in soglia, a cura di Giuseppe Bevilacqua, Einaudi, Torino 1996: Assisi p. 49, in traduzione differente da quella qui presentata.





Commenti

  1. Un testo che va oltre lo schermo. Illumina. Quasi un Kaddish (Qaddish). Composto in aramaico, si recita in ricordo di un congiunto defunto. È la preghiera dei morti, è anche una lode alla grandezza infinita di dio. In epoca talmudica era recitato alla fine di ogni studio, dai rabbini e dai loro discepoli, in lode della magnificenza che illumina il pensiero riflessivo. Grazie Camilla cara.

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  2. Le parole ripetute sembrano esaltare il silenzio, un vuoto assordante che annulla la distanza temporale tra le frasi scritte e il pensiero, puro stato d’animo, l’attimo eterno, come la stessa pietra.
    Gli oggetti delle persone scomparse hanno un’anima, imprigionano i nostri pensieri, oggettivando i ricordi. La bestia al trotto mi trasmette un’idea di continuità, oltre quello splendore che non consola, ma si nutre della stessa assenza.

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