Falsi autoritratti. Tempo, schermo, memoria.









di Barbara Ronchetti 

Sbiadiscono. Le ore, gli scatti. Il tempo respira il ritmo dei pensieri. Ogni cosa si muove in fretta, ogni cosa è immobile. Una gelatinosa attesa affollata di impegni bidimensionali. Lo schermo. Il volto e lo schermo. Il volto, altri volti e lo schermo. Difficile guardare nello specchio. La sua prossimità con mondi altri lo fa ingombrante. Lo schermo è diverso, non ha profondità. Lo schermo prende il sopravvento. Prospettive inusuali. L’ordine delle cose evolve in modo inatteso. Portare lo sguardo al di fuori di sé, rendere quel sé meno pauroso. La perdita di sé, la perdita, la scomparsa. Tra questo e il prima, la scomparsa di mia madre. Autentica, fisica. Questo è immaterialmente reale. Mia madre aveva paura dell’acqua. Mia madre era nata sulle rive di un lago che non esisteva più. Scambi di affetto dentro un rettangolo. La memoria ereditaria dei luoghi, delle azioni, delle persone. La paura ereditata da quel lago prosciugato. La paura del presente. Di ghiaccio. Non ha colore. Non ha emozioni. Ognuno ricorda a suo modo il passato familiare e comune. Bisogno di collettività. Desiderio di comunità. Per ricordare insieme, anche se le stesse cose diventeranno cose diverse. Costruire immagini del volto. Senza specchio. Una fila ordinata di diversi sé. Diversi ricordi di giorni senza tempo. Raccogliersi attorno a un’idea che scivola nel quadrato. Stretti nello spazio dello schermo. Continuo a vederlo senza prospettiva. Stretti nello spazio domestico. Altre comunità nel quadrato. L’ordine delle cose evolve in modo inatteso. Si incontrano punti di vista. In noi prima che sullo schermo. Sbiadisce la completezza. I ruoli si sovrappongono e le voci. Difficile orientarsi. Serve tempo. Ecco perché corre veloce. Dobbiamo impiegarlo per ritrovarci. Catturare espressioni diverse. Illusione di movimento. Fotografie scattate senza limite. Scegliere, modificare. Ogni passo allontana quel sé da me. Ogni passo lo avvicina. Una presenza altra. Tracce di un’assenza. La serie ricostruisce un mondo intero. Sai cosa c’è oltre la cornice dello scatto. Questo dà forza alle immagini. Dà forza alle immagini per me. I confini e i transiti fra pubblico e privato devono trovare nuove regole. Si mescolano all’interno. Sono rigidamente separati, ostili, all’esterno. Ripensare il corpo. Al di fuori è mascherato. Senza irrisione. Solo paura e fretta di rientrare. O forse fretta di uscire. I volti costruiscono un pensiero che non trova parole. La concatenazione logica si interrompe sulla soglia. Del ragionamento. Della stanza. Cercare un’occasione nel quadrato dello schermo. Di nuovo incertezza. Torno agli scatti. Oltre gli scatti qualcosa di autentico. Desiderio di comunità. Al plurale. Una sola non copre il tempo. Dire oltre. Il corpo non è più soglia fra esterno e interno. Il ragionamento non si estende. Non ha il tempo. Non ha lo spazio. Merda. Tristezza forza utopia speranza smarrimento amore desiderio. Scomparsa. Memorie condivise. Luoghi da toccare. Toccare. Ritoccare. Gli scatti. I volti. I corpi. Silenzi da capire. Lo schermo. In cerca di profondità. Ancora scatti. Raccontare, ritrovarsi, riconoscere. Forse.

Roma, 7 aprile 2020

Commenti

  1. Risposte
    1. - La gamba, - diceva per incitarmi al modernismo, - la gamba, vi conosco bene, conosco i vostri sport, il tipo della nuova generazione americanizzata, preferite la gamba alla mano, per voi conta solo la gamba; e la coscia! Lo sport! La coscia, la coscia, - mi lusingava terribilmente, - la coscia, la coscia, la coscia!

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  2. Leggendoti ho pensato a Cartesio e a quelle notti inaugurali del pensiero moderno dell'inverno 1619, trascorse al chiuso della "stufa" presso Ulm. La separazione tra Res cogitans e Res extensa, cioè il meglio che l'Occidente abbia prodotto e l'antidoto sempre efficace all'attrazione della notte, la dobbiamo proprio a un'infreddatura e ad un confinamento. Chissà che, anche oggi, il prodigio non possa ripetersi. Facciamo tanti sogni strani in questi giorni...

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  3. Nell'era analogica stampavamo le fotografie e le raccoglievamo in album. I più vecchi, quelli dei nonni, di formato più piccolo e rilegati in pelle; poi quelli dei genitori, con le loro foto di giovinezza e amore e delle nostre infanzie, rilegati in tela. E ancora: gli album colorati compilati da noi, spesso incastonati di furtarelli dagli album in pelle e da quelli in tela. Furti necessari per noi. Chi sono tutte quelle facce, quei corpi che portano il nostro nome ci restituiscono una immagine molteplice? Siamo sempre noi e altri. E gli altri, in quelle foto? E che dire degli antichi amori?
    E così, se avessimo un grande album delle nostre relazioni con la famiglia, col mondo, col fuori, potremmo ricomporre un'immagine nient'affatto lineare, una specie di frattale cangiante, a seconda della funzione, della relazione posta a principio di tale osservazione.
    Serve tempo, il tempo in cui silenziosamente ci fermiamo, e guardiamo lentamente le parti cangianti, in qualche modo la materia "decaduta" (pensiamo alle stelle, alla luce che ci arriva, che è una sorta di photo-graphema la traccia luminosa di qualcosa che non c'è). Ognuno di noi, nella capacità di osservazione e memoria, è una macchina del tempo. Di questo tempo che non è mai completamente individuale, ma sempre dentro a una più grande, continua riconfigurazione complessa.
    Se riusciamo a cogliere gli aspetti positivi della possibilità di rappresentazione delle immagini e del tempo nella nuova era digitale, tenendo sempre davanti agli occhi la lentezza e la corporeità delle sensazioni proprie dell'era in cui siamo nati, allora forse troveremo un modo per 'mettere lo schermo in prospettiva'? Mantenendo la relazione con altre forme di relazione? Non ho risposte, e ti ringrazio di avermi fatto fermare, e ripensare.

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  4. Schermo o specchio? Un'immagine riflessa di sé stessi, troppo vaga , anche se racchiusa in uno spazio indefinitamente definito. L' andare oltre non è un semplice tentativo, ma una profonda certezza, delicata, quasi evanescente, come l'ombra di una sfumatura che unisce uno scatto all'altro. Vorresti saper prendere le distanze da ciò che senti, sentendoti parte del tutto che ti circonda. È un nuovo viaggio sulle rive di un lago lontano, un rispettoso silenzio lambisce le spiagge dove sabbia e acqua si compenetrano e il nome scritto diventa un dolce segreto per l'eternità.

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