Il Coronavirus come scorciatoia verso l'espiazione

[NdR: riceviamo e pubblichiamo, sebbene con lieve sconcerto]

Cari bloggers di "salva con nome",

o meglio, cari... come potremmo chiamarvi? "Salvaconnomesi"? "Saveasanti"? "Onomadiazosonauti"?  Non so, ce lo dirà la storia... E comunque, ecco, volevo comunicarvi alcune cose che mi son passate per le cervella e che potrebbero fornire un contributo forse non completamente inutile all'allegro dibattito cui avete dato inizio.
Insomma, in realtà non è che abbia letto molto di ciò che avete scritto, però ad occhio mi sembra si parli di temi quali il tempo, l'autorappresentazione, il diritto a giudicare, o valutare, roba così. Insomma, temi di cui si parla parecchio in giro, ma non sempre in maniera appropriata. Non sono sicura che voi ne parliate in maniera appropriata, ma non importa. L'importante è che mi abbiate dato l'occasione per scambiare due chiacchiere con qualcuno.
Qui dal mio eremo non troppo distante dall'amena località di Roncadelle, vicino a Corlanti (provincia di Assuni), vedo molto di ciò che accade con un certo distacco. E mi sono resa conto di una cosa strana. La maggior parte della gente, di fronte a questa situazione non completamente usuale, ha sviluppato una tendenza generale alquanto notevole. Prima di dirvi quale, vorrei però mettervi a parte delle mie ipotesi sulla situazione che stiamo vivendo.
La prima è che qualche ignoto burlone abbia messo nelle condutture dell'acqua di quasi tutti i paesi del mondo un potente allucinogeno: questa ipotesi mi sembra particolarmente interessante, perché spiega molte delle cose che stanno avvenendo, anche se forse non tutte. La seconda è che il raffreddore, da troppi anni trattato con eccessiva sufficienza, si sia alla fin fine incazzato di brutto. La terza è che fondamentalmente siamo degli occasionali abusivi su questo mondo, divenuti per un assoluto e infausto caso presunti e autoproclamati dominatori di uno spazio non nostro, il quale nella migliore delle ipotesi mal ci sopporta e nella peggiore ci ignora completamente, seguendo altri fini per noi imperscrutabili e a noi altamente superiori.
Quale che sia la verità, mi sembra d'altronde indubitabile un fatto, e qui vengo finalmente al punto. L'atteggiamento di buona parte delle persone che vivono su questa palla di roccia, acqua e magma, e in particolar modo in questa nostra oscura nazione nota ai più sotto il nome di Enotria, sembra considerare ciò che sta avvenendo non come una logica conseguenza del fatto che l'universo non esiste esclusivamente per fungere da nostro parco giochi, bensì come una Dura Prova inviata da Qualcuno a Noi Esseri Umani per permetterci di dimostrare veramente di Quale Tempra Siamo Fatti. Insomma, alcuni pensano di essere stati cattivi, che Qualcuno se ne sia accorto e che ora gli tocchi, giustamente, espiare. Altri pensano invece di non aver fatto nulla di eccessivamente malvagio, ma che comunque Qualcuno abbia deciso che ce l'ha con noi e che quindi ci tocca, nostro malgrado, espiare. In ultimo, ci sono delle persone a cui non frega nulla se ci sia o meno qualcuno che ce l'ha più o meno con noi, ma che in ogni caso pensano che tutto ciò che sta accadendo sia profondamente ingiusto e di fronte all'ingiustizia, come di fronte alla giustizia, è sempre e comunque necessario espiare.
E quale miglior occasione per farlo se non un'eroica resistenza passiva che ci permette fondamentalmente di stare a casa ad attendere, facendo la nostra patriottica parte seduti sul divano guardando curiose storie su schermi luminosi?
Chiariamoci: non c'è nulla di male in tutto questo, anzi. Dovete sapere che qui a Roncadelle mi occupo da anni di bimbi orfani, piccoli esseri che hanno perso moltissimo, già prima di possedere qualsiasi strumento psicologico o intellettivo per affrontare in modo minimamente sensato una qualunque tragedia. I miei bambini, quando arrivano, hanno prima di tutto bisogno di conforto, hanno bisogno di una mamma o un papà, di qualcuno che li guidi. Subito dopo cercano qualcuno da incolpare per quello che gli è successo. Poi, ad un certo punto, si illudono di aver recuperato ciò che avevano perduto, ma non è mai vero: anche se trovano una nuova famiglia, anche se crescendo raggiungono un nuovo equilibrio, non è mai possibile recuperare ciò che si è perso per sempre. Però questo non vuol dire niente, perché molto spesso tutti noi cerchiamo le cose che non possiamo avere oppure che non ci servono.
E insomma, la mia idea è che molti di noi stiano cercando in questa roba che ci è capitata una scorciatoia verso l'espiazione dei propri presunti peccati. E sono quelli fortunati. Gli altri invece o si sono ammalati e poi sono guariti, e quindi non hanno avuto il privilegio di trovare alcuna scorciatoia, o si sono ammalati e sono morti, e i morti, come si sa, vengono sempre e comunque tutti assolti.
Quanto a me, credo che mi terrò i miei peccati, perché mi hanno resa ciò che sono, nel bene e nel male. E per quanto riguarda il futuro, non credo che smetterò di peccare, ma vedrò di farlo solo nel caso in cui mi porti un po' di divertimento e comunque senza nuocere agli altri. Ma così, sarebbe davvero un peccato? E i veri peccati, si possono davvero espiare?
Ecco, vorrei chiudere con questa domanda completamente insensata, che presuppone l'assurda idea che noi e ciò che ci circonda, noi e l'ambiente che ci attornia, siamo cose diverse. Se esiste un peccato, esso consiste nel nuocere a noi stessi, come singoli individui e come parte di una comunità più ampia, che comprende, al minimo, tutti gli esseri viventi. Anche i virus? Forse, ma comunque a loro non gliene frega assolutamente nulla di noi, quindi perché preoccuparsene?
Bene, per ora è tutto.

Vi lascio solo con un'ultima raccomandazione: quella di tenere a mente, quanto più possibile, che la perfezione è sempre, e ripeto sempre, un errore prospettico.
Un caro saluto e a presto,

Suor Raimondo


[Immagine inserita in apertura: "L'urlo" di Carlo Grifone]

Commenti

  1. Saggezza e lungimiranza, Suor Raimondo. Grazie! Però cautela a indovinare troppo lontano, che come scrive una mente dolorosamente sottile del Novecento: “Molti che avevano preceduto il loro tempo hanno poi dovuto aspettarlo in locali piuttosto scomodi” (Sanisław Jerzy Lec, Pensieri spettinati).

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    1. Gentile Barbara,

      ha ragione. Per questo mi sono rifugiata da moltissimi anni a Roncadelle. Ho montato un'amaca in giardino e, col permesso di due gentili e solidi susini, mi godo i suoni dei campi mentre intreccio fantasiosamente in ciocche la mia fluente barba grigia. I bambini sono ormai quasi tutti cresciuti, anche se mi piace pensare che siano ancora qui. In realtà ci sono. La solitudine può essere confortevole, a volte, come anche riuscire, sebbene con fatica, a svuotare la mente. Come scriveva un'altra mente dolorosamente sottile del Novecento, "C'è abbastanza metafisica nel non pensare a niente" (Alberto Caeiro, Il guardiano di greggi, poesia V). Nella stessa poesia scrive anche: "Non credo in Dio perché non l'ho mai visto. / Se egli volesse che credessi in lui, / verrebbe senza dubbio a parlarmi / e entrerebbe dalla mia porta / dicendomi: Eccomi!". Personalmente lo sto ancora aspettando, con fiducia.
      Un caro saluto,

      Suor Raimondo

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